mercoledì 26 dicembre 2012

Il Natale dei nuovi poveri


Le feste degli «altri»
tra i nuovi poveri
e chi ha perso il lavoro

 

di ALESSANDRA CAVALLARO

 
TARANTO - Padri separati, pensionati, ed anche ex commercianti. Sono i nuovi poveri di Taranto, i nuovi ospiti della mensa della chiesa del Carmine. Insieme a loro, disoccupati, senza tetto, persone con un disagio psicofisico, uomini e donne abbandonati dalle famiglie. Quest’anno è stato il più difficile. I volontari, a pranzo, hanno servito anche 96 persone. La media è di 70 pasti al giorno.

 

Domenica è una giornata di festa anche perché è a ridosso del Natale. C’è il coniglio nel forno e l’odore si diffonde su via Cavour a metà mattinata. Alle 11 c’è già la fila per poter mangiare, ognuno con il bigliettino della prenotazione in mano. I posti a sedere sono solo 24, bisogna avere pazienza e aspettare il proprio turno. Hanno fame ma attendono composti che qualcuno li chiami. La civiltà, sempre più spesso, appartiene agli ultimi. La mensa dei poveri del Carmine è sostenuta ogni mese dal Banco Alimentare che fornisce un grosso contributo con casse di derrate alimentari. Due volte alla settimana, il martedì e il venerdì, i volontari si recano all’Auchan che offre il cibo a breve scadenza. Per Natale sono stati regalati panettoni, dolci e paste fresche dai tarantini, ma durante l’anno arrivano vivande in continuazione.

E’ gente silenziosa che fa del bene, senza mettere i manifesti. Ovviamente c’è il contributo economico della parrocchia con il quale vengono principalmente acquistati detersivi, oggetti di plastica, buste per la spazzatura. E’ una macchina perfetta e ben rodata, la cui benzina è la generosità. Enzo Gerardo è la persona che accende il motore tutti i giorni. Ne ha viste di famiglie passare. Conosce i loro drammi e ha imparato ad ascoltare. «C’è una coppia di rumeni con un bambino di due mesi. Il neonato vive in un passeggino, i genitori con lui in stazione. Quando fa molto freddo la madre, non viene qui, preferisce tenere più al riparo il figlioletto. Non credo che mangi». E’ una delle tante trame che Enzo racconta per spiegare un angolo di mondo dimenticato, che lui invece incontra ogni giorno.

«Il mese scorso è stato ritrovato un nostro ospite sui binari della ferrovia. Il suo corpo senza vita è stato scoperto per caso perché cercavano il gruista scomparso. Noi non lo vedevamo dal 18 novembre, sicuramente si era perso. Chissà da quanto tempo era morto». Si tratta di un uomo che ogni tanto aveva dei vuoti di memoria, e quando racconta la sua storia Enzo non può far altro che puntualizzare: «Da noi vengono persone che non sono in grado di reggersi da sole e che hanno difficoltà anche nella gestione della propria igiene personale. Mancano le strutture protette e la rete di assistenza sociale è carente».

La sede della mensa dei poveri del Carmine è un grande stanzone. Troppo piccolo per il flusso di gente che deve accogliere. La cucina è a vista sulla sala da pranzo, volontari e ospiti entrano in contatto, parlarsi è la normalità. Non c’è distanza, non c’è più solitudine. «Ci portano fiori, lettere, poesie, qualcuno lascia un centesimo come simbolo di ringraziamento». Costanza, Anna, Danila, Tina, Katia, ma anche Arianna, 18 anni, cucinano una domenica al mese. Formano una squadra ben rodata insieme a Sharon, studentessa che serve ai tavoli. Durante la settimana lavorano, sono impiegate in un albergo, insegnanti a scuola, assistenti uno studio dentistico. Vederle lì, sorridenti, allegre, riempie di gioia il Natale. «Ai bambini che vengono qui, e ce ne sono tanti, riempiamo il piatto di pasta con il parmigiano, a loro servono più proteine. E quando torniamo a casa dai nostri figli e li vediamo schizzinosi sul cibo, li raccontiamo quello che vediamo». Un altro modo di educare.
La mensa del Carmine è un microcosmo dove le distanze si assottigliano. Ritrovarsi vicini, anche solo per un’ora, fa sì che la notte in strada sia meno fredda.

 

Fonte: La Gazzetta del Mezzogorno

 

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